IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento  della  riserva
 formulata  all'udienza  monocratica  del   23 giugno 1998, in sede di
 comparizione delle parti nella fase preliminare del procedimento  per
 regolamento  di  competenza  proposto  dal  Ministero dei trasporti e
 della  navigazione nel ricorso n. 5213/1997 proposto dalla ditta Euro
 Tour Viaggi di Ferro Giuseppe, con sede in Mirabella Imbaccari  (CT),
 in  persona  del titolare sig. Ferro Giuseppe, rappresentata e difesa
 dal prof. avv. Italo Andolina, presso il cui studio in Catania, corso
 Sicilia n. 10, e' elettivamente domiciliata;
   Contro il Ministero dei trasporti e della navigazione,  in  persona
 del  Ministro  pro-tempore,  rappresentato  e  difeso dall'avvocatura
 dello Stato;
   Per l'annullamento del provvedimento del Ministero dei trasporti  e
 della  navigazione  d.c.  III  -  div. 32, prot. n. 4591 AI/07 del 15
 settembre 1997, con il  quale  si  respinge  nuovamente  la  domanda,
 avanzata  dalla Euro Tour Viaggi, di autorizzazione per l'istituzione
 di un servizio regolare CEE con  autobus  tra  l'Italia  (Sicilia)  e
 Germania "Mirabella Imbaccari - Daghersheim".
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 intimata;
   Vista   l'istanza   per   regolamento   di   competenza    proposta
 dall'Avvocatura    dello   Stato   di   Catania   per   la   predetta
 amministrazione;
   Vista la memoria depositata dalla ricorrente per  controdedurre  al
 proposto regolamento di competenza;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  in  data  22  aprile  1998  e  23  giugno  1998,  in sede di
 comparizione delle parti  (ritualmente  convocate)  in  relazione  al
 predetto  regolamento  di  competenza,  il prof. avv. Italo Andolina,
 difensore della ricorrente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue,  in  esito
 allo scioglimento della predetta riserva:
                               F a t t o
   Con  ricorso  notificato  il  10  novembre  1997 e depositato il 12
 novembre 1997, la ditta Euro Tour Viaggi di Ferro Giuseppe ha chiesto
 l'annullamento del provvedimento del Ministero dei trasporti e  della
 navigazione  d. c. III - Div. 32 prot. n. 4591 AI/07 del 15 settembre
 1997, con il quale si respinge nuovamente la domanda, avanzata  dalla
 predetta  Euro Tour Viaggi, di autorizzazione per l'istituzione di un
 servizio regolare CEE con autobus tra l'Italia (Sicilia)  e  Germania
 "Mirabella Imbaccari - Daghersheim".
   A sostegno del ricorso ha dedotto i seguenti motivi:
     1.  -  Violazione  del dovere - nella fattispecie avente "titolo"
 nell'ordinanza cautelare  n.  1155/1977  di  questo  tribunale  -  di
 ottemperare  alla pronunzia del giudice amministrativo, provvedendo a
 regolare ex novo interinalmente la situazione oggetto dell'assetto di
 interessi disposto con l'originario provvedimento negativo;
     2. - Eccesso di potere, reso manifesto dall'omessa motivazione e,
 comunque, dalla pseudomotivazione del nuovo provvedimento di diniego.
   L'amministrazione intimata si e' costituita in  giudizio  con  atto
 meramente formale.
   Con  ordinanza n. 3267 del 13 dicembre1997, la 3 sezione del t.a.r.
 Sicilia,  Catania accoglieva la domanda di sospensione cautelare  del
 provvedimento  negativo  impugnato, ordinando al resistente Ministero
 dei Trasporti di rilasciare, con  riserva  dell'esito  del  giudizio,
 l'autorizzazione  richiesta. Il predetto Ministero ottemperava a tale
 pronunzia  cautelare  con  provvedimento del 5 gennaio 1998, prot. n.
 001, senza peraltro interporre appello al C.G.A.
   Frattanto, in data 19 dicembre 1997, l'Avvocatura  dello  Stato  di
 Catania  notificava  istanza al Consiglio di Stato per regolamento di
 competenza ai sensi dell'art. 31, della legge  6  dicembre  1971,  n.
 1034,  chiedendo  che  venisse  dichiarata  la  competenza del t.a.r.
 Lazio a decidere sul ricorso in esame.
   Pertanto, il Presidente della 3 Sezione del t.a.r. Sicilia, Catania
 fissava per il 22 aprile 1998 la comparizione delle parti  davanti  a
 se'  ai fini dell'emanazione dei provvedimenti prescritti, nella fase
 preliminare del  procedimento  per  regolamento  di  competenza,  dal
 predetto  art.  31,  quarto e quinto comma, della legge n. 1034/1971.
 In  tale  udienza  monocratica,  il  difensore  della  ricorrente  si
 opponeva  al proposto regolamento di competenza, sollevando una serie
 di eccezioni nel rito e nel merito che si proponeva di illustrare con
 apposita memoria da depositare successivamente, e  chiedendo  a  tale
 fine un congruo rinvio. Il presidente, tenuto conto della rilevanza e
 dell'importanza  delle  eccezioni  sollevate,  accoglieva la predetta
 richiesta di rinvio disponendo l'ulteriore convocazione  delle  parti
 davanti a se' per il giorno 23 giugno 1998.
   In  tale ulteriore udienza, il difensore della ricorrente insisteva
 nelle  eccezioni  gia'  formulate  genericamente   a   verbale   alla
 precedente udienza del 22 aprile 1998, e successivamente precisate ed
 illustrate con memoria frattanto depositata il 12 giugno 1998.
   Il  Presidente  si  riservava  di  decidere  con  ordinanza su tali
 eccezioni  sollevate  dalla  ricorrente  avverso  il  regolamento  di
 competenza  proposto  dall'Avvocatura  dello  Stato per il resistente
 Ministero.
                             D i r i t t o
   1. - Come gia' esposto in epigrafe e nelle premesse  di  fatto  che
 precedono, l'impugnativa proposta e' rivolta avverso il provvedimento
 del  Ministero  dei  trasporti  e della navigazione - Dir. gen. della
 M.C.T.C. - prot. n. 4591 del 15  settembre  1997,  con  il  quale  si
 respinge nuovamente la domanda presentata dalla ricorrente ditta Euro
 Tour  Viaggi di Ferro Giuseppe, con sede in Mirabella Imbaccari (CT),
 per  ottenere  l'autorizzazione  alla  istituzione  di  un   servizio
 regolare  CEE  con  autobus  tra  l'Italia  (Sicilia)  e  la Germania
 "Mirabella Imbaccari - Daghersheim".
   2. - La 3 sezione del t.a.r. Sicilia,  Catania,  come  pure  si  e'
 esposto  in  narrativa,  con  ordinanza  n. 3267 del 13 dicembre 1997
 accoglieva la domanda  di  sospensione  cautelare  del  provvedimento
 negativo  impugnato,  ordinando al resistente Ministero dei trasporti
 di rilasciare, con riserva dell'esito del giudizio,  l'autorizzazione
 in   questione.   L'Amministrazione   ottemperava  a  tale  pronunzia
 cautelare con provvedimeno del 5 gennaio 1998, prot.  n.  001,  senza
 peraltro interporre appello al C.G.A.
   3.1. - Frattanto, in data 19 dicembre 1997 (e quindi subito dopo il
 deposito  della  predetta  ordinanza  cautelare  e pochi giorni prima
 della sua esecuzione da parte del resistente Ministero), l'Avvocatura
 dello Stato di  Catania  notificava,  come  gia'  detto,  istanza  al
 Consiglio  di  Stato per regolamento di competenza ai sensi dell'art.
 31 della legge  6  dicembre  1971,  n.  1034  (depositato  presso  la
 Segreteria  del t.a.r. in data 3 gennaio 1998), chiedendo che venisse
 dichiarata la competenza del t.a.r. Lazio  a  decidere  sul  predetto
 ricorso proposto dalla Euro Tour Viaggi.
   3.2.  -  Come  pure  accennato nelle premesse di fatto, con memoria
 depositata il 12 giugno  1998  la  ricorrente  Euro  Tour  Viaggi  ha
 controdedotto   avverso   il   proposto   regolamento  di  competenza
 eccependone,  innanzi  tutto,  l'inammissibilita'  e,  in  subordine,
 l'infondatezza, e chiedendo, conseguentemente:
     1)  che  il  t.a.r. (recte: il presidente in sede di accertamento
 dei presupposti per la sospensione del  giudizio  e  la  trasmissione
 dagli  atti  al  Consiglio  di  Stato,  ai sensi dell'art. 31, quinto
 comma, legge n. 1034/1971) accerti e dichiari  che  tale  regolamento
 non  sospende il giudizio di merito in atto pendente innanzi a questo
 t.a.r. e contrassegnato dal n. 5213/1997;
     2) e - in ulteriore subordine - per la denegata ipotesi  che  non
 venga  ritenuta  applicabile  al presente giudizio la norma dell'art.
 367, comma 1, c.p.c., che venga sollevata eccezione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 31, quinto comma,  della  legge  6  dicembre
 1971,  n. 1034, nella parte in cui non prevede che la sospensione del
 giudizio possa essere negata dal t.a.r. (innanzi al  quale  pende  il
 giudizio  all'interno  del  quale  sia  sollevata,  nelle  forme  del
 regolamento di competenza,  l'eccezione  di  incompetenza)  in  esito
 all'apprezzamento  della  manifesta  inammissibilita'  e/o  manifesta
 infondatezza  della relativa istanza, e cio' per  evidente  contrasto
 della  norma  in  questione  con le norme degli artt. 3, primo comma,
 (principio di uguaglianza), e 24, primo comma, (diritto  alla  tutela
 giurisdizionale), della Costituzione.  A sostegno di tali eccezioni e
 delle  conseguenti richieste sopra riportate la ricorrente ha dedotto
 vari motivi, i cui profili essenziali possono cosi riassumersi:
     A) Del thema decidendum del giudizio de quo (legittimita' o  meno
 del    provvedimento    rejettivo    della   chiesta   autorizzazione
 all'istituzione di un  servizio  regolare  CEE  con  autobus  tra  la
 Sicilia  e  la  Germania "Mirabella Imbaccari-Daghersheim") il t.a.r.
 Sicilia, Catania ha gia' conosciuto per ben due  volte  in  occasione
 dell'esame  di  istanze  cautelari  (entrambe  puntualmente accolte),
 delibando - in entrambe le occasioni -  la  fondatezza  dei  "motivi"
 addotti  a supporto della proposta impugnazione.  Il secondo giudizio
 (instaurato col presente ricorso n. 5213/1997  avverso  il  "secondo"
 provvedimento  del  15/19 settembre 1997) e' sostanzialmente identico
 al primo (introdotto con ricorso  n.  1691/1997,  del  quale  ricalca
 puntualmente  l'"oggetto"  (e  vertente,  ovviamente, tra le medesime
 parti).      Conseguentemente,   non   avendo   la   p.a.   sollevato
 tempestivamente  (all'interno  del  primo"  giudizio) la eccezione di
 incompetenza territoriale, non potrebbe piu' farlo adesso.   In  caso
 contrario,  sarebbe  disattesa  ed  elusa  la   ratio della decadenza
 comminata (a pena di nullita')  dalla  norma  dell'art.  31,  secondo
 comma,  legge  n.  1034/1971,  in  forza  della quale, appunto, si e'
 inteso datare in limine litis, entro  spazi  temporali  assolutamente
 rigorosi,   l'eventuale   esame   della   questione   di   competenza
 (territoriale),  ed  -  in  ogni  caso  -  prima   dell'esame   della
 meritevolezza del ricorso.
     B) La "inammissibilita'" del regolamento de quo risalterebbe poi,
 sotto  altro profilo.  Una lettura sistematica dell'art. 31, legge n.
 1034/1971, che  tenga  conto  delle  forti  analogie  che  legano  il
 regolamento in parola al regolamento di giurisdizione di cui all'art.
 41   c.p.c.   (in   considerazione,   segnatamente,   della  funzione
 preventiva,  e non impugnatoria, comune ad entrambi i rimedi), impone
 infatti di ritenere:
      a) che l'adozione di  una  qualsivoglia  decisione  sulla  causa
 precluda  la  proposizione  (anche)  del regolamento di competenza in
 parola (sull'esempio di quanto e' stato gia' statuito dalla Corte  di
 cassazione, sez. un., con sentenza 22 marzo 1996, n. 2466, in tema di
 regolamento di giurisdizione);
      b)  che  identico  effetto  preclusivo  (della  proposizione del
 regolamento di competenza, di cui all'art. 31,  legge  n.  1034/1971)
 vada  ricollegato  anche  alla  ordinanza  cautelare  (a fortiori, se
 passata in giudicato:  siccome e' avvenuto nella specie),  attesa  la
 sicura  natura decisoria ad essa riconosciuta fin dal 20 gennaio 1978
 (in forza della nota pronuncia dell'adunanza plenaria  del  Consiglio
 di Stato)
     C)   In   subordine,   sarebbe  comunque  evidente  la  manifesta
 infondatezza della eccezione di incompetenza  territoriale  sollevata
 ex  adverso.   Ed infatti, la "autorizzazione" (di cui si discute) e'
 destinata a spiegare  la  propria  efficacia  limitatamente  all'area
 siciliana  (e, piu' esattamente, all'area ricadente nelle province di
 Catania e Messina): stante che i punti di imbarco dei  passeggeri  si
 collocano  esclusivamente a Mirabella Imbaccari, Caltagirone, Catania
 e Messina, mentre i punti di arrivo (e poi di ritorno)  si  collocano
 esclusivamente  in  territorio tedesco (in prossimita' di Stuttgart).
 Che e' quanto dire:  che  il  restante  territorio  nazionale  (dalla
 Sicilia   alla  Germania)  viene  in  considerazione  soltanto  quale
 attraversamento a porte chiuse (senza  possibilita'  alcuna,  quindi,
 ne' di imbarco, ne' di sbarco di passeggeri). Non a caso, peraltro, -
 siccome  evidenziato  dallo  stesso  provvedimento  ministeriale - la
 "autorizzazione"  in   parola   risulta   integrata   da   statuzioni
 amministrative   adottate   da   organi   regionali,   quali  appunto
 l'Assessorato turismo e trasporti della regione siciliana.
     D) La segnalata chiara analogia esistente tra il  regolamento  di
 competenza   nel   processo   amministrativo  ed  il  regolamento  di
 giurisdizione imporrebbe di riconoscere anche al t.a.r. (sull'esempio
 di quanto dettato ora dal novellato art. 367 c.p.c.) il potere-dovere
 di conoscere  (quanto  meno,  in  via  delibativa)  della  "manifesta
 inammissibilita'"  e/o della "manifesta infondatezza" dell'istanza di
 regolamento di competenza, al fine di adottare o non il provvedimento
 di sospensione del giudizio pendente innanzi  a  se'.    Una  diversa
 conclusione  sul  punto  non  soltanto  stravolgerebbe  il  sistema -
 introducendo  irragionevoli   discriminazioni   sul   terreno   della
 normazione di istituti pur sorretti dalla eadem ratio - ma violerebbe
 brutalmente fondamentali guarentigie costituzionali.
   Ed infatti:
     per  un  verso,  sarebbe  dato  ad una sola delle parti il potere
 (assoluto³) di arrestare  ad  libitum  il  regolare  svolgimento  del
 giudizio  merce' la mera proposizione di una qualsivoglia (e comunque
 - motivata, od immotivata)  istanza  di  regolamento  di  competenza:
 alterando  cosi'  (in  ispregio  al  principio  di uguaglianza di cui
 all'art. 3 Cost.)  la c.d. "parita' delle armi";
     per altro verso, (ove si riconoscesse alla mera proposizione  del
 regolamento   de   quo   l'effetto   automatico  e  necessario  della
 sospensione  del  giudizio)   si   menomerebbe   gravemente,   quanto
 ingiustificatamente,  il diritto alla tutela giurisdizionale (inteso,
 anche,  quale  diritto  ad una tutela effettiva, e pero' tempestiva),
 pur solennemente consacrato nell'art. 24 Cost.  Una lettura dell'art.
 31, legge n. 1034/1971, rispettosa del "sistema" e (ancor prima)  del
 dettato  costituzionale,  imporrebbe  quindi  di  ritenere che spetti
 anche al t.a.r. il potere-dovere di vagliare (sia pure ai  soli  fini
 della  statuizione adottanda in merito alla sospensione del giudizio:
 e quindi in esito a sommaria cognitio) la ammissibilita' e fondatezza
 della eccezione di incompetenza (dedotta in via di  regolamento);  e,
 conseguentemente, di negare la sospensione del giudizio, quante volte
 risulti  manifesta  la  inammissibilita'  e/o  la  infondatezza della
 relativa istanza.
   4.1.  -  Le  suesposte  eccezioni  (recte:  "controeccezioni")   di
 inammissibilita'  e/o  di  infondatezza dell'istanza di regolameno di
 competenza, e la conseguente  richiesta  principale  di  accertamento
 dell'impossibilita'  di  sospendere  il giudizio di merito ai sensi e
 per gli effetti dell'.art.  31, quinto comma, legge n.  1034/1971  (e
 quindi  sostanzialmente  di  rigetto  o  diniego  della  richiesta di
 sospensione e di trasmissione degli atti contenuta nella  istanza  di
 regolamento  di competenza), si appalesano, allo stato, inammissibili
 per un duplice ordine di ragioni preliminarmente ostative  su  di  un
 piano  generale,  che  non  consentono  al  t.a.r. adito, nel vigente
 quadro normativo, di  esaminare  l'intrinseca  fondatezza  di  alcuna
 eccezione  (o  "contro-eccezione")  di  rito  o  di merito avverso il
 proposto regolamento di competenza.
   4.2. - Innanzi tutto, tale asserita possibilita' giuridica  per  il
 presidente  del  t.a.r.,  o di una sezione dello stesso, di applicare
 analogicamente  l'invocato  art.  367,  primo  comma,   c.p.c.,   che
 attribuisce  al  giudice  il  potere-dovere  di  delibazione sommaria
 dell'ammissibilita' e della fondatezza del ricorso per regolamento di
 giurisdizione, risulta  preclusa  in  radice  proprio  dall'esistenza
 della  apposita  normativa processuale, contenuta nel contestato art.
 31 della legge n. 1034/1971, che disciplina integralmente la  materia
 del  regolamento di competenza nel processo amministrativo, e che non
 contempla in alcun modo un analogo potere  di  delibazione  sommaria;
 sicche'  viene a mancare il presupposto negativo della assenza di una
 "precisa  disposizione"  disciplinante   la   materia,   cosi'   come
 espressamente  richiesto  dall'art.   12, secondo comma, Disp - prel.
 c.c. affinche'  possa  procedersi  all'integrazione  od  applicazione
 analogica  con altre "disposizioni che regolano casi simili o materie
 analoghe".
   4.3. - Ne' poi, a  prescindere  dalla  rilevata  impossibilita'  di
 utilizzare  la  risorsa  giuridica  dell'analogia legis, l'interprete
 potrebbe   comunque    procedere    sostitutivamente,    come    pure
 sostanzialmente  sostiene  la  ricorrente  Euro  Tour Viaggi (punto 4
 della memoria del 12 giugno 1998), ad una lettura del  ripetuto  art.
 31,  quinto  comma,  della  legge  n.  1034/1971  conforme al dettato
 costituzionale ed al sistema, in guisa tale, cioe', da poter ritenere
 ed affermare che spetti anche al Presidente  del  t.a.r.,  o  di  una
 sezione  dello  stesso,  il  cennato potere - dovere di vagliare (sia
 pure  ai  soli  fini  della  statuizione  adottanda  in  merito  alla
 sospensione  del  giudizio,  e  quindi  in  esito a sommaria cognitio
 l'ammissibilita' e la  fondatezza  della  eccezione  di  incompetenza
 territoriale,   dedotta   in   via   di   regolamento  preventivo,  e
 conseguentemente  il  potere-dovere  di  negare  la  sospensione  del
 giudizio  quante  volte  risulti  manifesta  l'inammissibilita'   e/o
 l'infondatezza della relativa istanza.  Vero e' che, alla stregua dei
 noti  principi enucleati ed elaborati in dottrina e giurisprudenza in
 tema di regole legali  e  dottrinali  del  procedimento  ermeneutico,
 nell'interpretazione giuridica ci si deve costantemente uniformare al
 canone fondamentale secondo cui, se una norma si presti in astratto a
 due   o   piu'  possibili  letture  o  risultati  interpretativi,  il
 significato precettivo e la specificazione di valore che l'interprete
 deve preferire e prescegliere sono  quelli  conformi,  rispondenti  o
 comunque piu' aderenti alle norme ed ai principi costituzionali (c.d.
 interpretazione  adeguatrice),  perche questi, investendo e permeando
 l'intero ordinamento, funzionano come criteri ermeneutici di tutte le
 norme di rango inferiore (cfr., ex plurimis:  Corte cost., 14  luglio
 1988,  n.  823; Cass., 3 febbraio 1986, n. 661, 3 gennaio 1984, n. 7,
 27 gennaio 1978, n. 393, 12 giugno 1975, n.  2342, 10 marzo 1971,  n.
 674; C.S. V, 18 gennaio 1988, n. 8; IV, 23 giugno 1972, n. 575, C.S.,
 A.P.,  14  aprile 1972, n. 5; t.a.r.  Sicilia - Catania,  22 dicembre
 1986, n. 1292; t.a.r. Basilicata, 19 novembre 1983, n. 138).   Ma  e'
 altrettanto    incontrovertibile    che   l'interpretazione   secondo
 Costituzione, od interpretazione adeguatrice, presuppone  appunto  la
 possibilita'  astratta di scelta fra due o piu' possibili significati
 precettivi, dei quali uno conforme e gli  altri  contrastanti  con  i
 valori costituzionali, sicche' non e' possibile effettuarla allorche'
 -  come  nella  specie - si riscontri che una norma e' oggettivamente
 insuscettibile di piu' risultati od  esiti  interpretativi.  In  tale
 insuscettibilita'  e  nella  conseguente  assenza  di scelta fra piu'
 significati, l'interpretazione adeguatrice trova, quindi,  un  limite
 intrinseco   ed  insormontabile.    Si  e',  pertanto,  costantemente
 affermato  che  il  predetto  criterio  ermeneutico  di  privilegiare
 l'interpretazione  piu'  rispondente  ai  principi  costituzionali e'
 utilizzabile soltanto nei casi in cui  vi  sia  effettiva  incertezza
 sulla  reale  intenzione  del legislatore, e non anche quando la mens
 legis  traspariva  chiaramente  dalla  formulazione  letterale  della
 norma,  in  correlazione  logica con il complesso normativo nel quale
 e', sistematicamente, inserita, perche' in tal caso  l'unico  rimedio
 offerto  dall'ordinamento  e'  costituito dal giudizio incidentale di
 legittimita' (cfr., ex plurimis, C.S., VI, 13 maggio  1985, n.   163,
 e  t.a.r.  Lazio, I, 26 gennaio 1987, n. 164).  In ultima analisi, la
 possibilita' della lettura costituzionale della norma di  legge  deve
 necessariamente   arrestarsi   in   presenza   di  un  dato  testuale
 caratterizzato da espressioni linguistiche univoche o perentorie che,
 soprattutto se organicamente  o  indissolubilmente  inserite  in  una
 peculiare   disciplina   normativa,  precludono  all'interprete  ogni
 margine di opinabilita' tale da consentire, col  solo  ausilio  degli
 strumenti  della  logica giuridica e del procedimento ermeneutico, di
 adeguare e ricondurre armonicamente  il  contenuto  precettivo  della
 norma nell'ambito segnato dai principi e valori costituzionali.
   Ora,  nel  delineato quadro di presupposti teorici che, da un lato,
 consentono    l'operazione     intellettuale     dell'interpretazione
 adeguatrice,  e  che,  dall'altro,  ne  delimitano ontologicamente il
 raggio di operativita', e  tenuto  conto  dei  canoni  interpretativi
 codificati  dall'art. 12, primo comma, disp. prel. c.c., non puo' non
 ritenersi  che  la  precisa  e   perentoria   espressione   lessicale
 utilizzata  dal legislatore - per disciplinare la sospensione in sede
 di regolamento di competenza - nella proposizione normativa contenuta
 nel quinto comma dell'art.  31 in questione ("... i processi ... sono
 sospesi  e gli atti devono immediatamente essere trasmessi di ufficio
 ... al Consiglio di Stato"), configurando una ipotesi di  sospensione
 obbligatoria,  precluda  necessariamente ogni alternativa adeguatrice
 all'interprete.   E'   indubitabile,   infatti,   che,   cosi'   come
 nell'analisi  logica (o sintattica) della lingua, italiana, anche nel
 lessico giuridico il verbo. "essere"  (verbo  ausiliare  nelle  forme
 della  coniugazione  passiva  dei  verbi)  esprime,  fra  altre varie
 accezioni,  il  concetto  di  "esistere",  "sussistere"   "accadere",
 "divenire", "avvenire", "aver luogo", "diventare", e quindi di "dover
 essere",  di  guisa  che  l'espressione  "sono  sospesi"  (indicativo
 presente della forma passiva del verbo "sospendere")  e'  equivalente
 alla  (o  costituisce  sinonimo  della)  espressione  "devono  essere
 sospesi" o "vengono ad essere sospesi",  dal  cui  ambito  semantico,
 diversamene  dalle  ipotesi di sospensione contemplate dall'art. 367,
 primo comma, e  dall'art.  295  c.p.c.,  che  consentono  margini  di
 apprezzamento  del  giudice  davanti a cui pende la causa, esula ogni
 idea od ogni possibile riferimento (sia pure  implicito  e  generico)
 alla  subordinazione di tale obbligo assoluto a contrarie valutazioni
 discrezionali dell'organo giurisdizionale a quo.   Non puo',  quindi,
 revocarsi in dubbio che la sospensione de qua costituisce una vicenda
 o  modificazione  processuale  che  deve  essere dichiarata (o, se si
 vuole, disposta) con ordinanza presidenziale che ha  natura  di  atto
 dovuto  o  vincolato al mero accertamento del presupposto contemplato
 dal combinato disposto del quinto e del  quarto  comma  del  ripetuto
 art. 31.
   5.  - L'evidenziata inammissibilita', nel vigente quadro normativo,
 di tutte le eccezioni di inammissibilita'  e/o  di  infondatezza  del
 regolamento  di  competenza, e della conseguente richiesta principale
 di rigetto o diniego della sospensione del processo  prescritta  come
 atto dovuto dall'art. 31, comma, della legge n. 1034/1971, rende gia'
 di per se' rilevante ai fini del decidere, ai sensi e per gli effetti
 dell'art.  1  della  legge  costituzionale  9  febbraio 1948, n. 1, e
 dell'art. 23, secondo comma, della legge  11  marzo  1953,  n.    87,
 l'eccezione subordinata di illegittimita' costituzionale - che appare
 non  manifestamente  infondata,  come prescritto dalle stesse norme -
 del predeto quinto comma dell'art. 31 nella parte in  cui,  imponendo
 siffatta   sospensione   obbligatoria   ("...   i   processi...  sono
 sospesi..."); nei casi di proposizione di regolamento  di  competenza
 sul  quale  non si raggiunga l'accordo di tutte le parti, preclude al
 Presidente del t.a.r., o di una Sezione dello stesso, la possibilita'
 di denegare tale sospensione allorche' reputi il regolamento proposto
 manifestamente inammissibile e/o manifestamente  infondato.    Ma  in
 realta',  nella fattispecie, i prescritti requisiti di rilevanza e di
 non  manifesta  infondatezza,  ai  fini  della  proponibilita'  della
 questione  incidentale  di costituzionalita', non ineriscono soltanto
 al  frammento  precettivo  concernente  la  sospensione  obbligatoria
 imposta  dal  censurato  quinto  comma  dell'art.  31  della legge n.
 1034/1971, ma si  estendono  necessariamente,  come  emergera'  dalle
 considerazioni  che  seguono,  a  tutto l'istituto del regolamento di
 competenza disciplinato  dal  ripetuto  art.  31,  di  guisa  che  il
 giudicante  ritiene  di  dover  sollevare  d'ufficio  la questione di
 costituzionalita'  di  tutto il predetto articolo, ad eccezione della
 seconda parte del primo comma (in base al quale  "l'incompetenza  per
 territorio  non e' rilevabile d'ufficio").  Questione che, risultando
 oggettivamente connotata dal carattere della generalita' e quindi  da
 una  piu'  ampia  latitudine  di  contorni,  viene  cosi' ad assumere
 rilievo preminente ed assorbente  rispetto  a  quella  particolare  e
 conseguentemente  piu'  limitata  dedotta  dalla ricorrente Euro Tour
 Viaggi e  che  con  la  presente  ordinanza  viene  quindi  sollevata
 soltanto in via subordinata.
   6.1.  -  In  ordine  al  requisito (o condizione di proponibilita')
 della rilevanza di tale questione, occorre appena osservare,  innanzi
 tutto,  che  la  sua  preventiva risoluzione si pone assolutamente ed
 incontrovertibilmente, a norma del gia' richiamato art.  23,  secondo
 comma, legge n. 87/1953, quale necessaria pregiudiziale per stabilire
 se  -  come  ritiene il giudicante e come si specifichera' in sede di
 esame del requisito della non manifesta infondatezza - l'eccezione di
 incompetenza territoriale debba essere conosciuta e decisa dal t.a.r.
 adito in primo grado (ovviamente nella sua istituzionale composizione
 collegiale) e non gia', secondo  il  sistema  attuale  delineato  dal
 ripetuto art. 31, dal Consiglio di Stato in unico grado ed in sede di
 definizione  di  apposita  istanza  di  regolamento  di competenza; o
 comunque, ed invia assolutamente subordinata,  per  stabilire  se  al
 Presidente  del t.a.r., o di una Sezione dello stesso, residua almeno
 il potere-dovere (in analogia al disposto dell'art. 367, primo comma,
 in tema di regolamento di giurisdizione) di denegare  la  sospensione
 del  processo  prescritta  dal quinto comma dell'art. 31 allorche' la
 relativa istanza, appaia manifestamente inammissibile e/o infondata.
   Soltanto, quindi, la declaratoria di illegittimita'  costituzionale
 di   tutte   le  disposizioni  che  disciplinano  il  regolamento  di
 competenza, o, in subordine del quinto comma dell'art. 31 nella parte
 in cui non prevede il suddetto potere-dovere di delibazione  sommaria
 dell'ammissibilita' e della fondatezza del regolamento di competenza,
 potra'  consentire  al  giudice  amministrativo  di  primo  grado (il
 collegio del t.a.r.  adito, nell'auspicata ipotesi di declaratoria di
 incostituzionalita' totale, o il Presidente dello stesso t.a.r., o di
 una sezione dello stesso, nella subordinata ipotesi di  pronunzia  di
 incostituzionalita'   parziale  del  quinto  comma  dell'art.  31  di
 decidere in merito all'eccezione  di  incompetenza  territoriale  (ed
 alle  relative  "controeccezioni",  e  di riappropriarsi quindi di un
 potere "naturale"  di  cognizione  irrazionalmente  sottrattogli  dal
 legislatore  del  1971  con  l'anomala  costruzione dell'istituto del
 regolamento di competenza codificato nell'art. 31 in questione.
   6.2. - Giova inoltre precisare in  proposito  che  costituisce  jus
 receptu  il  principio  secondo  cui e' rilevante, ai sensi e per gli
 effetti del menzionato art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953,  non
 soltanto  la  questione che riguarda la legge la cui applicazione e',
 direttamente o indirettamente,  necessaria  per  la  definizione  del
 giudizio,  e quindi la legge che regola nel merito i rapporti dedotti
 in causa, bensi' anche  quella  che  riguarda  la  premessa  maggiore
 (cioe'  la  regola  giuridica)  di  tutti gli innumerevoli sillogismi
 attraverso i  quali  si  snoda  l'attivita'  del  giudice  sino  alla
 definizione  della  controversia,  con  decisione  processuale  o  di
 merito.  Tale  concetto  articolato  di  rilevanza   e'   stato,   in
 particolare,  precisato dalla Corte costituzionale, a quanto risulta,
 sin  dal  1983  con  la sentenza n. 137, nella quale, fra l'altro, si
 afferma  che  "la  pregiudizialita'  necessaria  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  rispetto  alla decisione del giudizio a
 quo va intesa considerando tale  decisione  come  conclusione  di  un
 itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi necessari puo' dar luogo
 a  un  incidente  di  costituzionalita',  ogni  qual volta il giudice
 dubita della legittimita' costituzionale delle disposizioni normative
 che, in quel momento, e' chiamato ad applicare  per  la  prosecuzione
 e/o la definizione del giudizio".
   Conseguentemente,  poiche'  ogni questione di costituzionalita' non
 puo' che essere sollevata ed esaminata dal giudice adito subito prima
 dell'applicazione  della  norma  di  legge  che  ne  e'  oggetto,  la
 questione   di   costituzionalita'  di  norme  di  legge  concernenti
 determinate modalita' di svolgimento  dell'attivita'  processuale  in
 una   determinata  fase  del  giudizio  deve  essere  necessariamente
 esaminata e sollevata (ad istanza di parte o d'ufficio)  dal  giudice
 adito prima che tali norme processuali vengano applicate dallo stesso
 organo  giurisdizionale,  e  non gia' al termine del giudizio, con la
 decisione finale, allorche' le norme della cui  costituzionalita'  si
 dubita  abbiano  gia'  (e,  quindi,  irrimediabilmente) trovato piena
 applicazione; e cio'  soprattutto  nelle  ipotesi  (come  in  quella,
 appunto,  del  regolamento di competenza nel processo amministrativo,
 del regolamento di giurisdizione, ecc.)  in cui l'ordinameno  prevede
 la  possibilita'  di  innesto nel processo di questioni incidentali o
 "incidenti" (che  provocano  la  sospensione  del  giudizio)  la  cui
 cognizione viene inderogabilmente demandata ad organi giurisdizionali
 diversi  da  quello  adito, e che potrebbero altresi' essere definite
 con pronunzie che sottraggono  a  quest'ultimo  la  competenza  o  la
 giurisdizione,  e  quindi  il  potere di decidere, in ordine a quella
 determinata  controversia  su  cui  si  e'  innestata  la   questione
 incidentale.
   Nella  specie,  quindi,  la questione di costituzionalita' in esame
 deve  essere  necessariamente  sollevata  dal  giudicante   -   quale
 Presidente  della  sezione  del  t.a.r.  (dinanzi alla quale pende il
 ricorso  indicato  in  epigrafe)   al   quale   spetta   l'emanazione
 dell'ordinanza di sospensione prescritta dal piu' volte citato quinto
 comma  dell'art. 31 - prima della emanazione della predetta ordinanza
 e della conseguente trasmissione degli atti al Consiglio di Stato,  e
 quindi prima di spogliarsi dell'unica competenza (del tutto marginale
 e  vincolata) attribuitagli in tale fase incidentale dall'ordinamento
 processuale, E' ovvio infatti, ed occorre appena  rilevarlo,  che  e'
 questo  l'unico  momento  processuale utile nel quale la questione di
 costituzionalita' di cui trattasi puo' essere  ritualmente  formulata
 dall'unico  organo  giurisdizionale  (il  Presidente  del t.a.r. o di
 sezione del t.a.r., e non il t.a.r.   o la  sezione  del  t.a.r.)  al
 quale  l'mpianto normativo attuale attribuisce in materia il limitato
 potere decisorio, vincolato  al  mero  accertamento  dei  presupposti
 contemplati   dal  combinato  disposto  dei  commi  quinto  e  quarto
 dell'art. 31, di sospendere il processo.    Dopo  tale  momento,  che
 individua  una  precisa  fase  o  articolazione subprocedimentale del
 procedimento incientale di regolamento di  competenza,  non  esistono
 altri  passaggi  o  momenti  processuali  utilizzabili,  posto che il
 collegio giudicante non ha alcuna competenza in tema  di  sospensione
 obbligatoria in base al ripetuto art. 31, quinto comma.
   7.1.  -  Quanto al requisito (o condizione di proponibilita') della
 non manifesta infondatezza della questione di  costituzionalita'  che
 con  la  presente  ordinanza  si  solleva,  occorre,  innanzi  tutto,
 riportare il testo della disposizione censurata, che e' il seguente:
     "Art. 31. - Il resistente o qualsiasi interveniente nel  giudizio
 innanzi   al  tribunale  amministrativo  regionale  possono  eccepire
 l'incompetenza per territorio del tribunale  adito  indicando  quello
 competente  e chiedendo che la relativa questione sia preventivamente
 decisa dal Consiglio di Stato. L'incompetenza per territorio  non  e'
 rilevabile  d'ufficio.    L'istanza  deve  essere proposta, a pena di
 decadenza, entro venti giorni dalla data di costituzione in giudizio.
 Puo'   essere   proposta   successivamente   quando    l'incompetenza
 territoriale  del  tribunale amministrativo regionale risulti da atti
 depositati in giudizio, dei quali la parte che propone l'istanza  non
 avesse  prima  conoscenza;  in  tal  caso l'istanza va proposta entro
 venti giorni dal deposito degli atti. L'istanza non e'  piu'  ammessa
 quando il ricorso sia passato in decisione.  L'istanza di regolamento
 di  competenza  si propone con ricorso notificato a tutte le parti in
 causa, che non vi abbiano aderito.  Se tutte le parti siano d'accordo
 sulla  remissione  del  ricorso  ad  altro  tribunale  amministrativo
 regionale,  il  presidente  cura,  su  loro  istanza, la trasmissione
 d'ufficio degli atti del ricorso a tale tribunale regionale e ne  da'
 notizia  alle  parti',  che  debbono  costituirsi davanti allo stesso
 entro  venti  giorni  dalla  comunicazione.    Negli  altri  casi,  i
 processi,  relativamente  ai  quali  e'  chiesto  il  regolamento  di
 competenza, sono sospesi e  gli  atti  devono  immediatamente  essere
 trasmessi  di  ufficio,  a  cura  della  segreteria del tribunale, al
 Consiglio di Stato.  Le parti alle quali e' notificato il ricorso per
 regolamento di  competenza  possono,  nei  venti  giorni  successivi,
 depositare   nella  segreteria  del  Consiglio  di  Stato  memorie  e
 documenti.  Sull'istanza il Consialio di Stato provvede in camera  di
 consiglio,  sentiti  i  difensori  delle  parti, che ne abbiano fatto
 richiesta, nella prima udienza successiva alla scadenza  del  termine
 di  cui  al  precedente  comma.   La decisione del Consiglio di Stato
 sulla  competenza  e'  vincolante  per  i  tribunali   amministrativi
 regionali.    L'incompetenza per territorio non costituisce motivo di
 impugnazione della  decisione  emessa  dal  tribunale  amministrativo
 regionale.    Quando l'istanza per il regolamento di competenza venga
 respinta, il Consiglio di Stato condanna  alle  spese  colui  che  ha
 presentato  l'istanza.  Quando l'istanza di regolamento di competenza
 sia accolta, il ricorrente puo'  riproporre  l'istanza  al  tribunale
 territorialmente  competente entro trenta giorni dalla notifica della
 decisione di accoglimento".
   7.2. - La struttura e la disciplina dell'istituto  del  regolamento
 di  competenza  delineate  dal  surriportato  art.  31 della legge n.
 1034/1971 non possono non suscitare, gia' ad una  prima  lettura  del
 testo  normativo, dei gravi dubbi di costituzionalita', riconducibili
 o. sussumibili in tre gruppi di  vizi  sostanziali  o  materiali  che
 sembrano   inficiare   in   radice  tutta  la  costruzione  normativa
 dell'istituto in questione.
   7.3. - Sembra, innanzi  tutto,  contrastare  con  il  principio  di
 eguaglianza,  formale o soggettiva, dettato dall'art. 3, primo comma,
 della  Costituzione,  l'anomala  sottrazione  al  giudice  adito  (il
 t.a.r., quale giudice amministrativo di primo grado) della cognizione
 di  una  tipica  eccezione  processuale  in  senso proprio, come tale
 proponibile soltanto dalle parti e non rilevabile d'ufficio (art. 112
 c.p.c. e art. 31, primo comma, seconda parte,  legge  n.  1034/1971).
 Una  sottrazione  tanto  piu'  anomala  quanto piu' si consideri che,
 secondo il costante orientameno del Consiglio di Stato, la domanda di
 regolamento di competenza non si  configura  come  atto  direttamente
 introduttivo  del  giudizio  di competenza davanti al predetto organo
 giurisdizionale (presso il quale  non  viene  depositata  l'istanza),
 bensi'  come  atto  del  processo  di  primo  grado,  con  natura  di
 eccezione,  che  determina,  pero',  soltanto  il  potere-dovere  del
 Presidente del t.a.r. di verificare se sussista o no l'adesione delle
 controparti e di emanare i provvedimenti conseguenziali (e vincolati)
 prescritti  dal quarto e quinto comma dell'art. 31 in questione (cfr.
 ex plurimis C.S., VI, 20 gennaio 1998, n. 108, e IV, 15 gennaio 1980,
 n. 17).
   Preliminarmente, occorre appena osservare in  proposito  che,  alla
 stregua  del  costante  ed  assolutamente  incontroverso orientamento
 dottrinario e giurisprudenziale, l'invocato principio di  eguaglianza
 formale  o  soggettiva  ex  art.  3,  primo comma, della Costituzione
 costituisce "un principio generale che condiziona tutto l'ordinamento
 nella sua obiettiva struttura"  (Corte  cost.,  n.  25/1966),  ed  e'
 espressione  di  un  generale  canone  di  coerenza  dell'ordinamento
 normativo (Corte  cost.  n.  204/1982),  estrinsecandosi,  in  ultima
 analisi,  in  un  generale  principio  di "ragionevolezza" per cui la
 legge deve trattare  in  maniera  eguale  situazioni  eguali,  ed  in
 maniera  razionalmente  diversa  situazioni  diverse (si veda, fra le
 tante, Corte cost. nn. 53/1958, 15/1960, 4/1964,  1/1966,   5/1980  e
 15/1982).  Ed  e'  ormai  indubbia  la  soggezione  al  principio  di
 eguaglianza  -  soprattutto   inteso   come   canone   di   coerenza,
 dell'ordinamento  e, quindi, come principio di ragionevolezza - della
 legge, non solo sotto il profilo formale (per  cui  il  principio  di
 eguaglianza  regolerebbe solo la forza e l'efficacia della legge), ma
 anche sotto il profilo  materiale,  per  cui  tale  principio  e'  in
 realta' rivolto a regolare anche il contenuto della legge, implicando
 un  limite o vincolo alla funzione normativa primaria nel senso sopra
 indicato.
   E' altresi' noto, costituendo  jus  receptum  in  materia,  che  il
 giudizio  costituzionale  di  eguaglianza  non si svolge raffrontando
 direttamente  la  norma  censurata   al   parametro   costituzionale,
 occorrendo anche che nelle ordinanze di rimessione alla Corte vengano
 indicate  una  o  piu' norme e/o uno o piu' principi dell'ordinamento
 rispetto al quale la norma impugnata,  diversificando  o  assimilando
 arbitrariamente  situazioni, rispettivamente, simili o diverse, viola
 il principio di eguaglianza: norme o  principi  ciascuno  dei  quali,
 isolatamente considerato ed utilizzato dal giudice a quo, costituisce
 il  c.d.    tertium  comparationis, e che, nei casi in cui ne vengano
 individuati e proposti congiuntamente ed in correlazione piu' di uno,
 costituiscono i tertia comparationis (cfr. fra le tante, Corte cost.,
 nn. 10/1980, 166 e 198 del 1982, 277/1983, 79/1984, e 618/1997).
   Ora, ritiene il giudicante che con riferimento alla fattispecie  in
 esame  debba  individuarsi  nell'ordinamento  processuale  almeno  un
 triplice ordine di tertia comparationis in grado  di  evidenziare  il
 contrasto  dell'art.  31,  primo  comma,  prima parte, della legge n.
 1034/1971,  e  conseguentemente  dei successivi commi secondo, terzo,
 quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono,  decimo  e  undicesimo,
 che  prevedono  e  disciplinano  la  competenza  in  unico  grado del
 Consiglio di Stato per la definizione del regolamento  di  competenza
 territoriale, con il principio di ragionevolezza insito nel principio
 di eguaglianza e art. 3, primo comma, Cost.
     A)  I  referenti  normativi  nei quali deve essere individuato il
 primo di tali tertia comparationis si rinvengono nel principio  della
 corrispondenza  tra  il  chiesto e il pronunciato stabilito dall'art.
 112 c.p.c., nonche' nel successivo art. 276,  secondo  comma,  e  nel
 precedente  art. 38, terzo comma, che di tale principio costituiscono
 corollari applicativi.
   Non sembra in alcun modo controvertibile, invero,  che  l'art.  112
 c.p.c.,   nel   prescrivere   innanzi  tutto  che  "il  giudice  deve
 pronunziare su tutta la domanda  ...  e  che  "non  puo'  pronunciare
 d'ufficio  su  eccezioni,  che possono essere proposte soltanto dalle
 parti", codifica il dovere decisiorio del giudice su tutta la domanda
 giudiziale, con  la  quale  si  esercita  il  diritto  di  azione,  e
 correlativamente  -  sia  pure attraverso la formulazione negativa in
 senso relativo e non assoluto e quindi inversamente  positiva,  della
 parte  finale  della  proposizione  normativa - su tutte le eccezioni
 (sia  processuali  che  sostanziali)  in  senso  proprio  proponibili
 soltanto,   e   concretamente   proposte,  dalle  parti  (oltre  che,
 ovviamente, su tutte le eccezioni - c.d. eccezioni in senso improprio
 - rilevabili anche d'ufficio).   In altri  termini,  siffatto  dovere
 decisorio  del  giudice  in  senso  "globale"  (per usare una diffusa
 espressione della  dottrina  processualistica),  vale  a  dire  sulla
 domanda  e  sulle  eccezioni  (e "controeccezioni" - anche perche' il
 termine "chiesto" utilizzato nella rubrica dell'art.   112  non  puo'
 che  riferirsi  logicamente  ad  ogni  richiesta, diretta al giudice,
 proveniente da ciascuna delle parti processuali:  attori,  convenuti,
 intervenienti    -   risulta   indirettamente   ma   chiaramente   ed
 incontrovertibilmente  contemplato   (nonostante   la   poco   felice
 formulazione  lessicale)  dalla  predetta seconda parte dell'art. 112
 c.p.c. ove, prescrivendosi  che  "il  giudice  non  puo'  pronunziare
 d'ufficio  sulle eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle
 parti",  si  stabilisce  implicitamente  che   egli   puo'   e   deve
 pronunciarsi  su  tutte  le  eccezioni  in  genere,  e  precisamente:
 soltanto ad istanza delle parti, su quelle proponibili esclusivamente
 da queste (c.d. eccezioni in senso proprio o stretto, sia  di  merito
 che processuali, quali quelle, fra altre di incompetenza territoriale
 ex  art. 38, secondo comma, c.p.c., ed ex art. 31, primo comma, legge
 n. 1034/1971, di cui trattasi), secondo quanto espressamente previsto
 da specifiche disposizioni di legge che attribuiscono  una  sorta  di
 diritto  protestativo  in  tal senso; ed anche d'ufficio, su tutte le
 altre  per  le  quali  la  legge  non  prevede   alcuna   riserva   o
 disponibilita' delle parti (c.d. eccezioni in senso improprio: sia di
 merito,  quali, fra le altre, la nullita' di atti e negozi giuridici;
 che processuali, solitamente distinte in eccezioni  pregiudiziali  di
 rito,  quali  il  difetto relativo di giurisdizione, e l'incompetenza
 nei casi in cui e' sottratta alla disponibilita' delle parti,  ed  e'
 quindi  rilevabile  d'ufficio,  ed  eccezioni  preliminari di merito,
 quali quelle attinenti alle tre condizioni  fondamentali  dell'azione
 giurisdizionale).
   La  rilevata ontologica ampiezza "globale" del dovere decisorio del
 giudice,  quale  risulta  gia'  chiaramente  dalla  regola  enunciata
 dall'art. 112 c.p.c., appare poi coerentemente confermata (ove mai se
 ne  dubitasse)  da  tutto  il  sistema  del  processo  civile  ed  in
 particolare da numerose sparse disposizioni del codice di  rito,  fra
 le  quali  occorre  innanzitutto  segnalare,  per  il  suo  valore di
 carattere generale ed in un certo senso  esplicativo  dell'ambito  di
 operativita'  della  potestas  decidendi,  l'art. 276, secondo comma,
 c.p.c., in base al quale "il  collegio  ...  decide  gradatamente  le
 questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e
 quindi il merito della causa".
   E  non  sembra,  poi,  inutile ricordare ancora in proposito che il
 predetto  secondo  comma  dell'art.   276,   il   quale   costituisce
 espressione di un principio essenzialmente logico prima che giuridico
 (in  tal  senso,  fra  altre,  Cass.,  15  ottobre 1976, n. 3469), e'
 ovviamente applicabile nel processo  amministrativo  anche  in  forza
 dell'espresso  richiamo  effettuato  dall'art.  64 del regolamento di
 procedura approvato con r.d. 17 agosto 1907, n. 642.
   Ma  la  disposizione  che  -  subito  dopo  l'effettuato   richiamo
 preliminare  (in  quanto precedente nell'ordine logico dei concetti e
 delle argomentazioni implicati nella questione in esame)  alle  norme
 generali  degli artt.   112 e 276, secondo comma, c.p.c. - occorre in
 particolare  ricordare,  in  quanto  disciplina   specificamente   la
 decisione   del   giudice   civile   sull'eccezione  di  incompetenza
 territoriale,  e'  l'art.  38,  terzo  comma,  c.p.c.,  in  combinato
 disposto con l'art. 187, terzo comma, c.p.c.
   A  norma,  infatti,  del  predetto  terzo  comma dell'art. 38, come
 sostituito dall'art. 4, legge 26 novembre 1990, n. 353,  le  qestioni
 di  cui ai commi precedenti (ossia le questioni che sorgono a seguito
 dell'eccezione,  o   del   rilievo   d'ufficio,   in   alcuni   casi,
 dell'incompetenza  per  materia,  per valore, e per territorio) "sono
 decise, ai soli fini della competenza, in base a quello  che  risulta
 dagli  atti". E a tal fine l'art. 187, terzo comma, c.p.c. prevede la
 facolta' del giudice  di  scegliere  tra  l'immediata  rimessione  al
 collegio  per  decidere  separatamente  sulla questione di competenza
 insorta, o l'accantonamento  della  questione  stessa  per  deciderla
 unitamente  al  merito  (ed  eguale  facolta'  viene prevista da tale
 disposizione per le questioni attinenti alla giurisdizione o ad altre
 pregiudiziali).
   Alla stregua, dunque, dei cennati principi generali  sulla  domanda
 giudiziale  e  sul nesso inscindibile con la figura, ad essa omologa,
 dell'eccezione nelle sue varie configurazioni e categorie, cosi' come
 emergenti nell'ordinamento processuale soprattutto attraverso i  dati
 testuali  degli  artt.  112 e 276, secondo comma, c.p.c., e dell'art.
 64 r.d.  n.  642/1907,  ed  alla  stregua  altresi'  della  specifica
 disciplina  relativa  alla  decisione  con  sentenza,  da parte dello
 stesso giudice adito, sulle  eccezioni  di  incompetenza  (artt.  38,
 terzo  comma, e 187, terzo comma, c.p.c), non puo' essere revocato in
 dubbio che, estendendosi  necessariamente  il  dovere  decisorio  del
 giudice  adito  a  tutto  l'ambito della situazione giuridica globale
 inscindibilmente costituita dal binomio domanda  giudiziale-eccezioni
 (o   "controdomande"),   la  mancata  pronunzia  su  di  un'eccezione
 costituisce vizio di omissione (parziale) di pronuncia (si  veda,  in
 tal  senso,  soprattutto Cass.   21 agosto 1985, n. 4451, ed inoltre,
 anche se implicitamente, Cass., 15 ottobre 1976, n.  3469,  cit.,  13
 marzo  1964,  n.  538,  23  giugno  1982, n. 3831, 25 maggio 1995, n.
 5747).
     B) Il secondo tertium comparationis deve essere poi  individuato,
 secondo   l'ordine   di  stretta  conseguenzialita'  logica-giuridica
 emergente dall'impostazione sopra  delineata,  nel  sistema  previsto
 dagli  artt.    42  e sg. c.p.c. per il regolamento di competenza nel
 processo civile.
   Ai limitati fini  comparativi  che  qui  rilevano,  e'  sufficiente
 ricordare  in  proposito,  in  rapidissima  sintesi,  che il predetto
 regolamento e' configurato e disciplinato dal codice di rito come uno
 specifico mezzo di impugnazione ordinaria  delle  sentenze  di  primo
 grado  che  statuiscono sul presupposto processuale della competenza.
 Tale regolamento, consistente in una iniziativa giudiziaria di parte,
 dinanzi alla Corte di Cassazione, avverso, appunto la pronunzia sulla
 competenza nella quale la parte che impugna sia rimasta  soccombente,
 e  tendente  ad  una riforma di quella pronuncia, e', com'e' noto, di
 due tipi:   regolamento necessario,  in  quanto  costituisce  l'unico
 mezzo  col quale possono essere impugnate le sentenze che pronunziano
 soltanto  sulla  competenza   (art.   42   c.p.c.);   e   regolamento
 facoltativo,  nel  senso  che  puo'  essere facoltativamente proposto
 dalla parte rimasta soccombente sulla  questione  di  competenza,  in
 alternativa con i "modi ordinari" (normalmente l'appello), avverso le
 sentenze che hanno pronunziato sulla competenza insieme col merito, e
 limitatamente  (com'e'  ovvio) al capo della sentenza che concerne la
 competenza (art. 43 c.p.c.).
   Non sembra  necessario  soffermarsi  piu'  che  tanto  per  rendere
 evidente  la radicale ed inspiegabile diversita' - che costituisce un
 vero e proprio disvalore giuridico - tra il regolamento di competenza
 (sia necessario che facoltativo) - nel processo  civile,  strutturato
 come un mezzo di impugnazione delle pronunzie sulla competenza, ed il
 regolamento  di  competenza nel processo amministrativo, anomalamente
 configurato e disciplinato dall'art.  31,  legge  n.  1034/1971,  per
 qualche  misteriosa  od  arcana ragione, come uno strumento decisorio
 "preventivo"  in  unico  grado  sulla   eccezione   di   incompetenza
 territoriale  del  t.a.r.  adito,  anziche' come mezzo d'impugnazione
 della pronunzia dello stesso t.a.r. in ordine all'eccezione di cui si
 discute.
   Si puo' solo soggiungere,  come  gia'  rilevato  sin  dal  1974  da
 autorevole  dottrina,  che,  in  forza  dell'ibrido disegno normativo
 dell'art. 31 in questione, i t.a.r., diversamente da tutti gli  altri
 giudici  dell'ordinamento  italiano,  non  hanno  quindi il potere di
 giudicare della propria competenza territoriale.
     C) Un ulteriore elemento  di  comparazione,  che  viene  peraltro
 prospettato  in  via  del  tutto subordinata rispetto ai primi due, e
 quindi soltanto  per  l'ipotesi  di  una  eventuale  declaratoria  di
 infondatezza  della dedotta questione di incostituzionalita' di tutto
 l'istituto del regolamento di competenza nel processo amministrativo,
 si rinviene, come esattamente rilevato dalla difesa della ricorrente,
 nel raffronto  dell'obbligo  assoluto  di  sospensione  del  processo
 amministrativo,  prescritto  dal quinto comma, dell'art. 31, legge n.
 1034/1971, per i casi in cui non tutte le parti siano d'accordo sulla
 remissione del ricorso ad altro t.a.r. a seguito  della  proposizione
 del regolamento di competenza, con la ben diversa disciplina prevista
 dal  novellato  primo comma, dell'art. 367, c.p.c. per la sospensione
 del processo di merito, a seguito della proposizione del  regolamento
 di giurisdizione
  ex art. 41, primo comma, c.p.c.
   In base, infatti, al predetto primo comma, dell'art. 367, nel testo
 sostituito  dall'art.  61  della  novella  apportata  con la legge n.
 353/1990, il giudice davanti a cui pende la causa, dopo  la  notifica
 del  ricorso  alle  sezioni  unite  della  Cassazione per regolamento
 preventivo d  giurisdizione  ai  sensi  dell'art.  41,  primo  comma,
 c.p.c.,  ed a seguito del deposito di copia di tale ricorso presso la
 propria cancelleria, "sospende il processo se non  ritiene  l'istanza
 manifestamente  inammissibile  o la contestazione della giurisdizione
 manifestamente infondata".
   Ora, se con la riforma del 1990  e'  stata  introdotta  tale  nuova
 disciplina  della  sospensione  del  processo a seguito della rituale
 proposizione   del   regolamento   di   giurisdizione,    attribuendo
 espressamente  al  giudice  il  cennato  potere-dovere di delibazione
 sommaria dell'ammissibilita' e  della  fondatezza  della  istanza  (e
 cio',  com'e' noto, allo scopo precipuo di contrastare i preoccupanti
 e frequenti abusi dell'istituto in  questione,  utilizzato  da  parti
 prive  di scrupoli per provocare soltanto la sospensione del processo
 a palesi fini dilatori), non si riesce a comprendere per quale motivo
 un analogo margine - quanto meno - di delibazione sommaria (idest: di
 giudizio) non sia stato e non  debba  essere  attribuito  al  giudice
 amministrativo   di  primo  grado  (e  quindi  al  t.a.r.  nella  sua
 istituzionale composizione collegiale, e non gia' al suo  Presidente)
 relativamente  al regolamento di competenza, per il raggiungimento di
 quei medesimi obiettivi (di contrasto degli abusi e  delle  finalita'
 dilatorie)  sottesi  alla  delibazione  sommaria  di ammissibilita' e
 fondatezza del regolamento  di  giurisdizione  demandato  al  giudice
 civile di primo grado.
   La  mancanza di intrinseca coerenza o ragionevolezza della rilevata
 assenza del potere (almeno) di delibazione sommaria dell'eccezione di
 cui trattasi si rivela, poi, tanto piu'  inspiegabile  e  tanto  piu'
 grave ove si consideri che, mentre il regolamento di giurisdizione e'
 soltanto   uno   dei  vari  metodi  o  strumenti  di  verifica  della
 giurisdizione previsti dal codice di  rito  (e  costituiti,  come  e'
 noto,   dall'eccezione   di   difetto  di  giurisdizione,  rilevabile
 d'ufficio, dal ricorso in Cassazione ex art. 360, n. 1,  dall'analogo
 ricorso ex art. 362, primo comma, e dalla elevazione dei conflitti di
 giurisdizione ed attribuzione previsti dal secondo comma dello stesso
 art.  362,  oltre  al  predetto regolamento preventivo), ed e' quindi
 aggiuntivo  rispetto   all'eccezione   di   difetto   (relativo)   di
 giurisdizione, il cui esame e' ovviamente demandato al giudice adito,
 al   contrario  il  regolamento  di  competenza  costituisce  l'unico
 strumento previsto dalle  leggi  processuali  amministrative  per  la
 verifica della competenza territoriale del t.a.r.
   7.4.  -  L'anomala  esclusione dal processo decisionale del giudice
 amministrativo di primo  grado  della  cognizione  dell'eccezione  di
 incompetenza territoriale, proponibile soltanto nelle forme e secondo
 le modalita' del regolamento di comptenza cosi' come disciplinato dal
 predetto  art.  31 della legge n. 1034/1971, si pone conseguentemente
 ed ovviamente in contrasto anche col principio del  doppio  grado  di
 giurisdizione  nel giudizio amministrativo, codificato dall'art. 125,
 secondo   comma,   Cost.,   dato   che   sulla   predetta   eccezione
 d'incompetenza   territoriale   viene   a  pronunziarsi  soltanto  il
 Consiglio di Stato che nel nostro sistema e'  esclusivamente  giudice
 d'appello,   con   la  conseguenziale  perdita  del  primo  grado  di
 giurisdizione.  Il  che  e'  al  tempo  stesso  contrario   al   gia'
 evidenziato principio di ragionevolezza in relazione agli elementi di
 comparazione  come  sopra  individuati, ove si consideri che, essendo
 tutte le eccezioni delle "controdomande", non ha senso che dal doppio
 grado di giudizio su tutte le domande giudiziali e relative eccezioni
 venga  esclusa  soltanto   l'eccezione   attinente   al   presupposto
 processuale della competenza territoriale.
   Che  tale aporia od anomalia processuale configuri una vulnerazione
 del principio  del  doppio  grado  di  giurisdizione  amministrativa,
 emerge nitidamente da una rapida ricognizione degli elementi e spunti
 ricostruttivi di tale principio e del conseguente sistema in materia;
 elementi  che,  negli  stretti limiti in cui rilevano in questa sede,
 possono sintetizzarsi nelle proposizioni che seguono:
     A) L'art. 125, secondo comma Cost., che ha previsto l'istituzione
 nelle Regioni di "organi di giustizia amministrativa di primo grado",
 deve essere letto in stretta  correlazione  con  il  precedente  art.
 103, primo comma, in base al quale "il Consiglio di Stato e gli altri
 organi  di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela
 nei  confronti  della  pubblica   amministrazione   degli   interessi
 legittimi  e,  in particolari materie indicate dalla legge, anche dei
 diritti  soggettivi".  Dal  combinato  disposto  dei   due   precetti
 costituzionali,  che  peraltro  contengono  non  certo casualmente la
 medesima dizione ("organi di giustizia amministrativa") si ricava non
 solo il  principio  che  nel  giudizio  amministrativo  debba  essere
 previsto un giudice di primo grado, e quindi un giudice d'appello, ma
 anche  che  in  tale doppio grado generalizzato la competenza dei due
 giudici sia la stessa, e cioe' si estenda non soltanto  a  tutti  gli
 atti della pubblica amministrazione, ma anche, ovviamente, a tutte le
 domande,  ed  a tutte le eccezioni (rilevabili d'ufficio o ad istanza
 di parte) del giudizio;
     B) Ogni giudice, in quanto collegato con l'ordinamento  giuridico
 generale,  e' potenzialmente giudice dell'intera Amministrazione, con
 la conseguenza che il riferimento dell'art. 125, secondo comma, della
 Costituzione alla regione non ha  altro  significato  che  quello  di
 fissare  la  competenza  territoriale dei giudici di primo grado; che
 non puo' estendersi, in linea di  principio,  al  di  fuori  di  tale
 ambito  (come  in  effetti e' stato previsto dalla legge n. 1034/1971
 istitutiva dei t.a.r.). Emerge, invero, anche dall'esame  dei  lavori
 preparatori  dell'Assemblea  costituente  che, alla base del ripetuto
 art. 125, secondo comma, Cost., vi e' stato l'intento di rinnovare in
 profondita' il sistema di giustizia amministrativa onde garantire  al
 cittadino   una   maggior   tutela   nei   confronti  della  pubblica
 amministrazione, creando  organi  giurisdizionali  decentrati  aventi
 competenza   per   materia   su   qualsiasi  atto  amministrativo,  e
 conservando un organo di grande tradizione (il  Consiglio  di  Stato)
 con  pari  competenza  per materia e con competenza per territorio di
 livello nazionale;
     C)  La  stessa  Corte  costituzionale, con la sentenza n. 8 del 1
 febbraio 1982, ha  affermato  che  nel  settore  della  giurisdizione
 amministrativa   ordinaria,   al   contrario   degli   altri  settori
 giurisdizionali,   il   principio   del   doppio   grado   e'   stato
 costituzionalizzato  in  quanto  tale giurisdizione concerne la sfera
 del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno  il  riesame  delle
 pronunzie  dei  tribunali  di  primo  grado da parte del Consiglio di
 Stato, che si trova al vertice del complesso degli organi costituenti
 la giurisdizione stessa.
   7.5.  -  Sotto  altro  profilo,  infine,  per  quanto  concerne  in
 particolare  l'obbligo  del  Presidente  del t.a.r., o di una sezione
 dello stesso, di sospendere il processo (in conseguenza  del  divieto
 di  cognizione  dell'eccezione  di incompetenza territoriale da parte
 dello stesso t.a.r. adito) nel caso in cui le parti non  siano  tutte
 d'accordo  sulla  remissione  al  t.a.r.  indicato dalla parte che ha
 proposto il regolamento di  competenza,  sembra  configurabile,  come
 pure  esattamente  evidenziato  dal  difensore  della  ricorrente, un
 ulteriore vizio sostanziale o materiale  di  costituzionalita'  della
 norma  che  contiene  siffatta imposizione (quinto comma dell'art. 31
 della legge n. 1034/1971).  Da un lato, infatti  il  potere  assoluto
 conferito  alle  parti  resistenti  ed  intervenienti di arrestare ad
 libitum  il  regolare  svolgimento  del   giudizio,   con   la   mera
 proposizione   di   una   qualsivoglia   istanza  di  regolamento  di
 competenza,  (anche  se  assolutamente   infondata,   ed   anche   se
 addirittura  immotivata  oltre  che infondata), altera, in spregio al
 principio di eguaglianza  di  cui  all'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione  la c.d. "parita' delle armi" delle parti in causa.  Per
 un  altro  aspetto,  poi,  la  sospensione  necessaria  del  giudizio
 conseguente  alla  mera  proposizione  del  regolamento  de quo nelle
 ipotesi in cui le altre parti non accettino di rimettere  il  ricorso
 al  t.a.r.    indicato  dalla  parte proponente - sospensione che non
 costituisce  un  effetto  automatico  del  deposito  dell'istanza  di
 regolamento,  ma  che  deve essere disposta dal Presidente del t.a.r.
 adito, con ordinanza che, come gia' si e'  detto  al  punto  4.3  che
 precede,  si  configura  come  atto dovuto od assolutamente vincolato
 (cfr., fra altre, C.S., IV, 29 aprile 1975,  n.  475,  VI,  3  giugno
 1975,  n.  178,  IV, 15 giugno 1980, n. 17, e VI, 20 gennaio 1998, n.
 108), come si desume chiaramente sia dal precedente quarto comma, che
 attribuisce espressamente al Presidente il compito di trasmettere  il
 ricorso  al  t.a.r. indicato in caso di accordo sulla remissione, che
 dal successivo  art.  32,  secondo  comma,  il  quale,  in  relazione
 all'analoga  eccezione  concernente  la ripartizione della competenza
 fra sedi e sezioni staccate dei t.a.r., stabilisce che "il presidente
 del tribunale amministrativo regionale provvede sulla  eccezione  con
 ordinanza  motivata non impugnabile" - sembra menomare gravemente, ed
 ingiustificatamente, il diritto alla tutela giurisdizionale  (inteso,
 anche,  quale  diritto ad una tutela effettiva, e quindi tempestiva),
 solennemente consacrato nell'art.  24, primo comma, Cost.
   8. - Per le suesposte considerazioni, a norma dell'art. 23, secondo
 comma,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  va   disposta   l'immediata
 trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
 della questione incidentale di  costituzionalita'  di  cui  trattasi,
 disponendosi  conseguentemente  la  sospensione  della pronunzia (con
 ordinanza, presidenziale) in ordine alla  sospensione  necessaria  od
 obbligatoria,  ai sensi e per gli effetti dell'art. 31, quinto comma,
 legge  6 dicembre 1971, n.  1034, del processo instaurato col ricorso
 n. 5213/1997 indicato in epigrafe.